Queste pagine sono dedicate a tutti i Sappadini, senza la cui collaborazione e disponibilità questo lavoro non sarebbe stato possibile. Ai più anziani, che hanno vissuto il Carnevale “di una volta”, e a coloro che hanno portato avanti la tradizione in questi anni, va la mia gratitudine per aver condiviso i loro ricordi e le loro esperienze. Ai più giovani, a coloro che si stanno appassionando al Carnevale, auguro di poter proseguire con entusiasmo, consapevoli della ricchezza e della complessità del proprio patrimonio culturale. Agli amici di Sappada, ai tanti che in questi anni mi hanno dimostrato partecipazione e stima, un grazie sincero.
Questo sito si propone di analizzare storia, struttura e svolgimento del Carnevale di Sappada.
Sappada (Plodn in sappadino) è un’isola linguistica germanofona; fino al 2017 Comune del Veneto, fa attualmente parte del Friuli Venezia Giulia. Situata a 1250 m s.l.m. è posizionata lungo la valle del Piave.
I testi di questo sito sono estratti dal volume: Sappada – Plodn: Identità culturale di un’isola linguistica alle Sorgenti del Piave. ISBN 978-88-8420-573-5
Tradizioni relative al Carnevale
L’Avviso della Deputazione Comunale di Sappada, datato 20 gennaio 1864, è il primo documento che si riferisce al Carnevale di Sappada.
Non si tratta di una descrizione o di un resoconto di un avvenimento, bensì di alcuni divieti rivolti alla popolazione, allo scopo di mantenere, «…omissis… in questi tempi di Carnevale … omissis…», l’ordine pubblico.
A lungo, i Carnevali sono stati considerati dalle Autorità locali, civili ed ecclesiastiche, come una manifestazione popolare potenzialmente rischiosa, di cui cercare di limitare i danni in attesa della conclusione, al sopraggiungere della Quaresima. Per molto tempo, dunque, soprattutto nelle piccole località si è parlato del Carnevale solo per vietarne alcuni aspetti o per esercitare una forma di controllo sui partecipanti. Oppure, nel caso in cui si fosse verificato qualche fatto di particolare gravità, tanto da essere riportato nelle cronache locali.
Per di più, per molto tempo il Carnevale è apparso ai ricercatori un evento talmente comune e così ovvio che non necessitava di una descrizione.
Così, gli studiosi e i primi viaggiatori, che pure nei loro scritti hanno riportato molte informazioni e annotazioni relative alla comunità di Sappada, non ci hanno lasciato notizie sul Carnevale.
Tra il materiale bibliografico che abbiamo a disposizione, la prima descrizione del Rollat, accompagnata da una fotografia, e alcuni cenni sul Carnevale compaiono all’interno di una tesi di laurea sul dialetto di Sappada del 1937.
Poi, il maestro Fontana nelle sue pubblicazioni ha parlato anche del Carnevale e a lui si devono le prime descrizioni sui vari aspetti della tradizione carnevalesca sappadina.
Come è accaduto a molti altri Carnevali di piccole comunità, questo rituale è rimasto a lungo sconosciuto al grande pubblico. Negli ultimi quindici/venti anni, invece, si è assistito ad un crescente interesse per le manifestazioni popolari e del Carnevale di Sappada si sono occupate anche trasmissioni televisive e riviste specializzate in turismo culturale.
Importanti si sono rivelate le fonti orali e le fotografie messe a disposizione dagli abitanti. I ricordi, in particolare dei più anziani, raccolti già da alcuni anni, ovviamente presentano le lacune tipiche di una tale fonte e non sempre permettono di stabilire con precisione alcune datazioni. Non possono andare con la memoria più in là degli anni Trenta; molti, però, riferiscono fatti e aneddoti della vita dei genitori o dei nonni e ci permettono di comprendere le modalità di svolgimento e l’atmosfera dei Carnevali passati. Anche le testimonianze fotografiche, alcune delle quali risalgono agli anni Trenta, contribuiscono a tale scopo, confermando spesso quanto è emerso dalle testimonianze orali.
Lòrvn
Si è
già avuto modo di sottolineare quanto sia sempre importante a Sappada mantenere
l’anonimato durante il Carnevale. Fondamentale, pertanto, è l’uso della
maschera di legno che copre completamente il volto, la lòrve, di cui si è detta l’origine del termine.
Le
migliori lòrvn, oltre a celare il
volto, sono in grado di modificare anche la voce grazie al particolare modo in
cui è scavato il legno, nella parte interna all’altezza della bocca e del
mento.
A
Sappada, l’uso della maschera lignea svolge ancora un ruolo essenziale perché è
ritenuta la sola adatta per prendere parte alle mascherate tradizionali; tutti
i partecipanti la usano non tanto per obbedire a regole imposte, quanto,
piuttosto, perché la lòrve è sentita
da ogni sappadino come un elemento fondamentale della propria tradizione
carnevalesca. L’utilizzo delle maschere di plastica o di altro materiale non è
mai stato ben visto, se non in occasione del Giovedì Grasso e del No Club, dove
è ammessa una maggiore libertà nei travestimenti.
Proprio il forte rapporto che esiste tra la popolazione e le maschere ha fornito lo spunto per una ricerca dedicata alle lòrvn, svolta nel 1987.
Lo
studio, che va collocato nell’ambito di una ricerca approfondita sul Carnevale
locale, si era posto l’obiettivo di individuare il maggior numero di maschere e
quante più informazioni e dati su ciascun esemplare. I risultati della ricerca
hanno permesso di fare alcune considerazione e riflessioni, non solo sulle lòrvn ma, anche, sul Carnevale sappadino
nel suo complesso.
È
possibile mettere in relazione i dati relativi alla produzione delle maschere
con avvenimenti storici di grande portata ma anche con la storia stessa del
Carnevale di Sappada, che, accanto a momenti di grande vitalità, ha vissuto
anche periodi di stanchezza. L’abbondante produzione di questi anni è dovuta
sicuramente ad una precisa volontà dei sappadini di voler mantenere il proprio
Carnevale in tono tradizionale. Anche una rinnovata passione per l’artigianato
e in particolare per l’intaglio del legno, specie da parte delle generazioni
più giovani, e un crescente interesse dei mass
media nei confronti dei Carnevali tradizionali hanno sicuramente
contribuito a incrementare la produzione in tempi recenti.
A
Sappada non esistono, o almeno non sono state rinvenute fino a questo momento,
maschere molto antiche. Le maschere presenti in paese per le quali è stato
possibile attribuire una datazione, seppur approssimativa, non sono anteriori
agli ultimi anni dell’Ottocento. Ciò può essere attribuito al fatto che in
passato le maschere erano unicamente funzionali al Carnevale e non si
attribuiva loro un grande valore, al di là dell’utilizzo nel Carnevale. Dunque,
una volta rovinata o non più ritenuta adatta, la lòrve, il più delle volte, veniva gettata nel fuoco, sostituita da
una nuova. In paese, quasi tutti gli uomini erano in grado, con un pezzo di
legno locale e pochi attrezzi, di prepararsi una maschera.
Si è
già detto, inoltre, che in passato era diffusa l’abitudine di nascondere il
volto con un velo, in particolar modo per le donne.
Molti
spiegano la mancanza di esemplari antichi con i numerosi incendi che hanno
colpito nel corso del tempo le varie borgate, distruggendo le case e tutto ciò
che vi si trovava. È bene anche ricordare che collezionisti, antiquari o semplici
turisti possono, nel corso degli anni, aver portato via dal paese le maschere
più vecchie, che può ancora capitare di trovare nei mercatini antiquari di
città lontane.
È anche
probabile che alcune lòrvn antiche
siano rimaste in casa, ben custodite dai gelosi proprietari.
Ieri come oggi, le maschere sono sempre state oggetto di un fitto scambio; per garantire meglio l’anonimato ed evitare che si potesse risalire all’identità del mascherato tramite la lòrve, difficilmente si indossava più volte la stessa maschera. In paese si mormora che, soprattutto in passato, alcune di esse non sempre abbiano ritrovato la… strada di casa![
Alle
maschere oggi viene attribuito un valore maggiore. Tanti sappadini, soprattutto
verso alcune maschere, mostrano un affetto speciale. C’è chi le produce per
venderle, anche perché la richiesta è notevole ma è difficile che qualcuno le
ceda una volta che siano state utilizzate nel Carnevale.
Tutte
le maschere sono di proprietà dei singoli sappadini: o perché prodotte in
ambito familiare o perché lasciate in eredità da qualche anziano o perché
acquistate.
In
alcuni locali, alberghi, bar, negozi o ristoranti può capitare di vedere
maschere appese al muro per scopo decorativo, esposte durante tutto l’anno o
solo nel periodo carnevalesco. I più tradizionalisti, però, sono ancora
convinti che il miglior posto per le lòrvn,
quando non sono indossate durante il Carnevale, sia la soffitta, lontano da
sguardi indiscreti!
Nel
gruppo di maschere più antiche che sono state individuate, la maggior parte è
attribuita a Pietro Pachner detto “Knuolar”, nato a Cima Sappada nel 1875.
Non
si hanno molte notizie di lui: alcuni tra i più anziani ricordano il suo nome e
che era un artigiano. Tutti, però, hanno ben presenti le sue maschere che è
possibile ancora vedere di tanto in tanto nelle mascherate. Sono usate per lo
più dai proprietari o da persone di fiducia perché tutti riconoscono un grande
valore alle sue lòrvn. Esse sono ben
distinguibili, per i tratti estetici, dal resto delle maschere che animano i
Carnevali odierni.
Molte
cose sono cambiate nella produzione delle lòrvn
rispetto al passato.
Le
maschere più vecchie sono generalmente realizzate in ontano che è considerato
il legno tipico delle maschere sappadine. L’ontano (Alnus sp.) è un albero che cresce in zona ed era quello più
disponibile in passato. Ancora oggi è apprezzato perché è più economico degli
altri legnami ed è preferito soprattutto da coloro che hanno una produzione di
maschere più limitata ad un ambito familiare.
Gli
autori del passato avevano sicuramente attrezzi meno raffinati e numerosi di
quelli moderni eppure gli esemplari di maschere più datati, almeno quelli di
miglior fattura, appaiono con la superficie esterna estremamente levigata ed
anche la rifinitura della parte interna risulta accurata, così come la cura dei
particolari.
I
colori che venivano usati in passato erano tinte molto coprenti, spesso
rimanenze di vernici utilizzate in casa.
Tra i
legnami più impiegati negli ultimi tempi, troviamo il cirmolo e il weymouth.
Il cirmolo (Pinus cembra), chiamato da qualcuno anche cirmolo italiano, non si trova a Sappada ma proviene da località italiane vicine, come Misurina. Il weymouth (Pinus strobus) è presente in Italia solo come pianta ornamentale; il legname è invece importato dalla Germania ed è per questo chiamato anche cirmolo tedesco. Di questi legnami è apprezzata soprattutto la facilità di lavorazione e la leggerezza che conferiscono alla maschera.
Ogni
autore ha un proprio modo di procedere nella lavorazione e un proprio stile
riconoscibile. Una volta preparato il legno delle dimensioni giuste, si segnano
i punti fondamentali rispettando le proporzioni: una croce per gli occhi e il
naso, poi la linea della bocca. Ovviamente, se l’intento è quello di realizzare
una maschera particolare, ad esempio con evidenti difetti fisici, naso o bocca
storti, occhi irregolari, si procede diversamente. Alcuni preferiscono lavorare
un pezzo unico, mentre altri assemblano più pezzi per evitare la presenza del
midollo del legno che, asciugandosi, potrebbe spaccare la maschera. Si prosegue
poi con vari tipi di sgorbie, sia all’interno sia all’esterno. Particolare cura
viene posta da molti nello scavare la zona del mento e della bocca perché è
fondamentale per far risuonare in modo appropriato la voce. Attualmente, tanti
apprezzano la lavorazione in cui vengono lasciati evidenti i “tagli vivi”, i
segni dello scalpello cioè non sono eliminati dalla rifinitura con la carta vetrata.
Piace molto, adesso, che si veda il legno con le sue venature perché in tal
modo si pensa che le lòrvn non
possano essere scambiate per maschere di plastica!
Proprio
per questo motivo, molti adoperano vernici non coprenti, come il mordente, paiss (o baiss), usato spesso in
due o più tonalità per definire i particolari del volto come baffi e
sopracciglia. Alcuni completano, poi, con dei colori acquerellati, fissati con
cera. Molto usati sono i colori a olio, a tempera o acrilici, stesi in maniera
più o meno fitta, a seconda del gusto. In alcuni casi, vengono utilizzate delle
tecniche di invecchiamento o altri procedimenti per ottenere effetti
particolari.
Tutte
le maschere di Sappada sono, tranne poche eccezioni, pitturate. Non sempre
l’autore è anche il pittore. In passato, sia per mantenere l’anonimato, sia per
motivi economici, probabilmente si ricorreva meno agli aiuti esterni. Oggi la
maschera viene ancora pitturata all’interno del gruppo familiare ma spesso ci
si rivolge ad alcuni pittori e decoratori professionisti, ciascuno con un
proprio stile e tecnica. Alla fase della decorazione pittorica è data grande
importanza ed è molto curata; accentuando ed enfatizzando con il colore i
tratti modellati nel legno, si può contribuire in modo rilevante alla
caratterizzazione della maschera.
È
interessante notare a questo punto che, mentre la produzione delle maschere è
un’attività, almeno fino a questo momento, unicamente maschile, le donne
intervengono in questa fase finale.
Restano
ancora da fare alcune considerazioni riguardo alle lòrvn sappadine.
Vale
la pena di sottolineare che a Sappada tutte le maschere rappresentano volti
umani; non esistono maschere tradizionali animalesche e, tra tutte quelle che
sono state catalogate, solo due hanno corna di animali.
Le lòrvn si differenziano in volti da uomo,
da donna e, da quando è consentita la loro partecipazione alle mascherate,
anche da bambino.
E
poi, ci sono le maschere da Rollat
che devono rispondere a precisi canoni estetici: un volto da uomo maturo, dai
lineamenti forti ma mai esagerati né, tanto meno, caricaturali; con folti baffi
scuri che scendono ai lati della bocca e sopracciglia altrettanto folte a
incorniciare uno sguardo severo. L’espressione è dura, talvolta accigliata.
I
sappadini, molto critici soprattutto nei confronti del Rollat, ritengono che per questo personaggio la lòrve sia fondamentale. Deve avere gli
occhi e l’espressione giusta: le migliori sono quelle che riescono a incutere
timore anche solo con lo sguardo!
Ci
sono diverse maschere in paese che hanno questo potere e sono particolarmente
apprezzate; è chiaro, allora, che i loro proprietari le utilizzino solo per
tale ruolo e ne siamo molto gelosi.
Capita, invece, che certe maschere, definite da Rollat non siano poi così caratterizzate e vengano utilizzate anche per gli altri ruoli.
Attualmente
si trova un numero discreto di maschere da donna, la maggior parte di
produzione recente. Tra le maschere attribuite a “Knuolar” due, molto ben
rifinite così come era abitudine di questo intagliatore, sono volti femminili
dai lineamenti delicati; si dice che queste due maschere uscissero in coppia
con due maschere maschili, sempre dello stesso autore, di cui una non è stata
vista per lungo tempo.
Da
quando è stato abbandonato l’uso del velo, si è cominciata a sentire la
mancanza di lorvn per i ruoli
femminili, soprattutto negli anni Settanta/Ottanta; da allora molti si sono
dedicati ad intagliarne.
Come
si è accennato la produzione di maschere per bambini è recente; la produzione
consistente è iniziata circa dieci/quindici anni fa e continua ancora. Si
tratta prevalentemente di lòrvn per Rollat, generalmente ben fatte e curate
soprattutto perché siano leggere e comode da indossare. Questa produzione è da
mettere in relazione con il fatto che adesso è molto diffusa l’abitudine che
bambini e ragazzi indossino i panni del Rollat.
Le lòrvn servono per partecipare alle
mascherate, diciamo così, “ufficiali” e poi per tutti i travestimenti del
periodo di Carnevale, comprese le visite “private” nelle case di Sappada.
Devono
quindi rispecchiare la divisione sociale che è alla base delle mascherate
locali. Così le lòrvn “da povero”,
con i volti emaciati e i tratti irregolari, segno di difetti fisici,
testimoniano lo stato di indigenza e la miseria nella quale si trovano a
vivere; anche i volti femminili sono solcati da profonde rughe.
“I
contadini” hanno il viso scurito dal sole e segnato dalla fatica del lavoro nei
campi e dalla cura del bestiame; le donne hanno il viso paffuto dai lineamenti
forti e l’incarnato colorito dalla vita all’aria aperta.
Al
contrario, i volti dei “signori” rispecchiano il benessere e lo stato di
agiatezza in cui trascorrono la vita: gli uomini hanno tratti regolari con le
sopracciglia e i baffi ben curati; le signore, con i lineamenti perfetti e
l’incarnato chiaro rappresentano una condizione economica e uno stato sociale
privilegiato, riservato a pochi.
Non
sempre, però, tutte le lòrvn
presentano una distinzione così netta tra le diverse classi sociali e, anche se
in teoria una maschera impiegata nella giornata “dei poveri” non dovrebbe
essere indossata, per esempio, in quella “dei contadini”, capita spesso che
alcune maschere vengano utilizzate indifferentemente in ciascuna mascherata; in
quel caso sarà l’abbigliamento e il modo di fare a caratterizzare il
travestimento. Ciò si verifica soprattutto nel caso di certe maschere, sia
femminili sia maschili, dai lineamenti regolari e con espressioni poco
accentuate. Per alcune maschere da Rollat,
si è visto, può accadere la stessa cosa.
Oltre
al gusto personale, la scelta della maschera da indossare dipende anche dalla
disponibilità di esemplari che sono in paese in un dato momento; proprio per
questo, chi ricorre al prestito, pratica da sempre in uso, deve organizzarsi e
prendere accordi per tempo per trovare quella più adatta al travestimento che
si vuole realizzare. Chi è in grado di intagliare il legno, invece, si prepara
personalmente la lòrve giusta per la
scena a cui vuole dare vita.
Alcuni
autori hanno riferito di essersi ispirati, in alcuni casi, a persone del paese,
di cui la maschera riporta la fisionomia e l’attore imita l’andatura e i gesti.
Nel corso della ricerca sulle lòrvn, era già stato osservato che «pur con la diversità di stile e di qualità di fattura, tipica di ogni autore, le maschere di Sappada possono essere definite, in riferimento ai canoni estetici, tradizionali; rispondono a canoni che sono localmente diffusi e nel complesso gli autori hanno mantenuto una tipologia piuttosto costante.»[.
Sin
dalle maschere più vecchie che sono state rinvenute, appare molto diffuso il
carattere dell’uomo con i baffi, sempre intagliati nel legno e non solamente
dipinti. Anche i canoni estetici della maschera del Rollat non sembrano poi essere mutati troppo nel tempo; a memoria
d’uomo e a giudicare dalle fonti fotografiche esaminate, non si notano grandi
differenze.
C’è
molta ammirazione per le maschere più vecchie, quelle di Knuolar o un’altra del
1899. Nel complesso, gran parte degli autori si attiene ad modello che in paese
viene sentito come tradizionale. Altri, invece, si lasciano guidare dalla
propria ispirazione artistica e creano maschere che difficilmente sono
utilizzate nelle mascherate tradizionali. Quelle più fantasiose e dalle
dimensioni e colori particolari hanno
trovato largo impiego nelle mascherate del Giovedì grasso e soprattutto
in occasione del No Club, dove si è svincolati dal rispetto della tradizione ed
è consentito dare libero sfogo alla propria fantasia.
È il
caso di fare ancora alcune considerazioni riguardo gli autori.
Non
tutti sono legati all’artigianato del legno, anzi, l’attività lavorativa è
molto varia. Così come è varia l’età degli intagliatori di questi ultimi anni;
accanto a coloro che già producevano lòrvn
negli anni Settanta e Ottanta, troviamo molti giovani che hanno cominciato a
dedicarsi a questa attività più recentemente, contribuendo ad incrementare il
patrimonio di maschere carnevalesche. Molti sono figli o nipoti d’arte o,
comunque, cresciuti in famiglie appassionate del carnevale; tuttavia, alcuni provengono
anche da ambienti che non sono particolarmente legati a questa tradizione.
Un notevole impulso all’intaglio del legno è stato dato anche dal concorso Schnitzar Bette, dedicato alla memoria di un importante intagliatore, Francesco Solero; a questa gara prendono parte diversi scultori che, durante le mascherate domenicali, espongono le proprie opere, giudicate e votate dagli spettatori. I concorrenti sono spesso in bilico tra tradizione e innovazione e presentano talvolta dei lavori alquanto originali. Queste maschere sono molto ammirate ed è assai apprezzata l’abilità nell’intaglio. Tuttavia, rimane forte il giudizio dei “puristi” secondo cui, la vera lòrve deve avere i tratti “tipici” del Carnevale sappadino.
Il Catalogo – 1995
I volti del Carnevale, risultato della catalogazione del 1995.
Laureata in lettere, indirizzo demo-etno-antropologico, all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” nel 1987, con una tesi sul Carnevale di Comelico Superiore (BL).
Nel 1995 ha realizzato la catalogazione delle maschere in legno del Carnevale di Sappada, schedando 303 volti.
Ha pubblicato diversi contributi sui Carnevali di Comelico Superiore e Sappada.
E’ referente per il progetto del Club Alpino Italiano “Terre Alte” nel territorio del comune di Amatrice (RI)
Queste pagine sono dedicate a tutti i Sappadini, senza la cui collaborazione e disponibilità questo lavoro non sarebbe stato possibile. Ai più anziani, che hanno vissuto il Carnevale “di una volta”, e a coloro che hanno portato avanti la tradizione in questi anni, va la mia gratitudine per aver condiviso i loro ricordi e le loro esperienze. Ai più giovani, a coloro che si stanno appassionando al Carnevale, auguro di poter proseguire con entusiasmo, consapevoli della ricchezza e della complessità del proprio patrimonio culturale. Agli amici di Sappada, ai tanti che in questi anni mi hanno dimostrato partecipazione e stima, un grazie sincero.
Questo sito si propone di analizzare storia, struttura e svolgimento del Carnevale di Sappada.
Sappada (Plodn in sappadino) è un’isola linguistica germanofona; fino al 2017 Comune del Veneto, fa attualmente parte del Friuli Venezia Giulia. Situata a 1250 m s.l.m. è posizionata lungo la valle del Piave.
I testi di questo sito sono estratti dal volume: Sappada – Plodn: Identità culturale di un’isola linguistica alle Sorgenti del Piave. ISBN 978-88-8420-573-5
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